I
quattro percorsero il sentiero di campagna fino alla strada provinciale. Era
notte fonda e nevicava fitto. Non passava nessuna macchina.
Ice
era una cosa da niente, un batuffolo di pelo arruffato sul ciglio della strada,
dieci centimetri scarsi di pelo grigio incrostato di sangue e fango.
Un
gattino abbandonato, piccolo piccolo, ferito e affamato.
-
Morirà – piangeva
Alice
-
Sicuro, morirà – scrollava la testa Paolo.
-
Non è detto.
Forse ce la farà. – disse Kevin. – Sarebbe morto certamente con questo freddo,
ma Frida si è accorta di lui. Ora mangerà e gli troveremo un posto caldo.
- Vivrà! Guardate
come mangia! Che fame! - Il latte versato da Frida nella piccola ciotola finì
in un attimo. – Miagola! Ne vuole ancora!
-
Che brutto, però!
– esclamò Alice.
-
Ma no, non mi
sembra più così brutto. – sorrise Frida.
Avvolsero
il gattino nel panno di lana che avevano preso a casa di Mafalda. I ragazzi si
guardarono, non sapendo cosa fare.
Frida
abbassò gli occhi:
-
Non posso
portarlo a casa. Abito là in fondo, vedete, in quella cascina… I miei non lo
vogliono, e non saprei dove nasconderlo.
-
Non preoccuparti,
ci pensiamo noi. – la rassicurarono gli amici. – A casa di Mafalda c’è tanto
posto, e cibo a volontà.
Frida
li ringraziò, ma sembrava ancora triste. Non voleva allontanarsi dal gattino.
-
Puoi venire da
noi ogni giorno, quando Mafalda esce.
-
Grazie! Ma perché
non posso venire quando c’è lei?
-
Mmmm, poi ti
spieghiamo.
I
ragazzi portarono a casa il fagottino. Curarono il gattino con un unguento
miracoloso della strega (era contenuto in un barattolo che trovarono sulla
credenza, con l’etichetta “unguento magico per gattini abbandonati”, chissà
come mai si trovava lì). Lo rimisero in forze con latte tiepido e pappine fatte
di avanzi di carne, e lo ripulirono per bene. Diventò in poche settimane un
gran bel micino. I ragazzi lo portavano a dormire di nascosto con loro per
paura che si mettesse a miagolare la notte, facendosi scoprire. Finalmente
aveva una casa, non ricordava di quand’era piccolo e infelice e solo.
Giocava,
si infilava dappertutto, era curioso e dispettoso, come i suoi padroni. Sarebbe rimasto un
gattino per sempre.
I
bambini avevano voluto per lui un nome speciale: lo chiamarono Ice, ghiaccio, perché
gli occhi erano rimasti bianchi come il ghiaccio. Non vedeva bene, ma forse lui
non lo sapeva, comunque non sembrava importargli.
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