domenica 25 novembre 2012

Ice



I quattro percorsero il sentiero di campagna fino alla strada provinciale. Era notte fonda e nevicava fitto. Non passava nessuna macchina.
Ice era una cosa da niente, un batuffolo di pelo arruffato sul ciglio della strada, dieci centimetri scarsi di pelo grigio incrostato di sangue e fango.
Un gattino abbandonato, piccolo piccolo, ferito e affamato.
-         Morirà – piangeva Alice
-         Sicuro,  morirà – scrollava la testa Paolo.
-         Non è detto. Forse ce la farà. – disse Kevin. – Sarebbe morto certamente con questo freddo, ma Frida si è accorta di lui. Ora mangerà e gli troveremo un posto caldo.
-        Vivrà! Guardate come mangia! Che fame! - Il latte versato da Frida nella piccola ciotola finì in un attimo. – Miagola! Ne vuole ancora!
-         Che brutto, però! – esclamò Alice.
-         Ma no, non mi sembra più così brutto. – sorrise Frida.
Avvolsero il gattino nel panno di lana che avevano preso a casa di Mafalda. I ragazzi si guardarono, non sapendo cosa fare.
Frida abbassò gli occhi:
-         Non posso portarlo a casa. Abito là in fondo, vedete, in quella cascina… I miei non lo vogliono, e non saprei dove nasconderlo.
-         Non preoccuparti, ci pensiamo noi. – la rassicurarono gli amici. – A casa di Mafalda c’è tanto posto, e cibo a volontà.
Frida li ringraziò, ma sembrava ancora triste. Non voleva allontanarsi dal gattino.
-         Puoi venire da noi ogni giorno, quando Mafalda esce.
-         Grazie! Ma perché non posso venire quando c’è lei?
-         Mmmm, poi ti spieghiamo.
I ragazzi portarono a casa il fagottino. Curarono il gattino con un unguento miracoloso della strega (era contenuto in un barattolo che trovarono sulla credenza, con l’etichetta “unguento magico per gattini abbandonati”, chissà come mai si trovava lì). Lo rimisero in forze con latte tiepido e pappine fatte di avanzi di carne, e lo ripulirono per bene. Diventò in poche settimane un gran bel micino. I ragazzi lo portavano a dormire di nascosto con loro per paura che si mettesse a miagolare la notte, facendosi scoprire. Finalmente aveva una casa, non ricordava di quand’era piccolo e infelice e solo.
Giocava, si infilava dappertutto, era curioso e dispettoso,  come i suoi padroni. Sarebbe rimasto un gattino per sempre.
I bambini avevano voluto per lui un nome speciale: lo chiamarono Ice, ghiaccio, perché gli occhi erano rimasti bianchi come il ghiaccio. Non vedeva bene, ma forse lui non lo sapeva, comunque non sembrava importargli.

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