I
ragazzi erano rimasti in giardino ad osservare, ridendo, la corsa di Barbablù attraverso il giardino.
Mentre si precipitava fuori di casa si sentì un tintinnio
sull’acciottolato. Kevin raccolse un oggetto luccicante, un anello da cui pendevano diverse chiavi d’oro:
le chiavi del castello. Slegò lo splendido stallone nero di Barbablù, e saltò
in sella. Frida lo rincorse:
-
Che fai? Scendi!
-
Qualcuno deve
salvare le fanciulle prigioniere di Barbablù. Questo è il momento propizio,
vado…
-
E’ pericoloso! Non
puoi andare solo. Ti aiuterò! – Frida si
aggrappò a Kevin e saltò su.
-
Sei pazza! Stai
alla larga! Hai visto il vecchio, come ti guardava?
-
Ma dai, guardava
me?
-
Certo, proprio
te! E le mogli che ha contato Mafalda sono sei… Lui è venuto solo alla festa: ci
deve essere una settima vittima!
-
Ma che fai, credi
alle favole?
-
Ma non è una
favola, è storia!
-
Ma la storia è
già cambiata: Barbablù è nell’orto che salta da un cespuglio all’altro…
-
Lui può tornare. Comunque
la storia non è finita, Bisogna cercare di cambiarla. Però ho paura…
-
Tu paura?
-
…ho paura per te,
sei in pericolo. Ci saranno al castello
soldati e servitori che per compiacere Barbablù cercheranno di catturarti!
-
Così ti preoccupi
per me, per la mia vita! Non ti avrei mai detto così… romantico!
-
Comunque ho
portato un oggetto magico. Mi aiuterà nell’impresa-
-
Come? Un oggetto
magico? Un corno? Una pietra vulcanica? Una zampa di tigre?
-
No, un calzino
puzzolente di Mafalda.
-
Bella magia! Che
ci vuoi fare con un calzino sporco?
-
Vedrai!
Kevin
e Frida lanciarono il cavallo al galoppo verso il borgo. Arrivarono nel cuore
della notte al villaggio deserto e salirono sino al castello. Aprirono con una
delle chiavi dorate il portone cigolante, avanzando poi con cautela verso i
sotterranei. Temevano il risveglio di qualche servo, al rumore di serrature che si aprivano.
Si
trovarono di fronte ad una guardia, appisolata a fianco della porta che
conduceva alle segrete. Come Kevin vide che l’uomo cominciava a muoversi, cominciò
a sventolargli sotto il naso il calzino, e il tipo si riassopì. Funzionava!
Udirono
dei lamenti flebili, pianti e urla soffocate. Si impossessarono della lanterna della
guardia e percorsero di corsa il corridoi buio. Arrivarono infine alla porta da
cui provenivano le voci. La prigione era
una stanza spoglia, arredata solo con degli umili giacigli, con un’unica
piccola finestra protetta da una grata di ferro.
E
qui trovarono sei fanciulle bellissime, ma magre, lacere e tremanti. Le
tranquillizzarono, spiegando che Barbablù era al momento innocuo. Si
preoccuparono di rifocillarle con le cibarie che Frida aveva portato. E poi
prepararono la loro fuga: tirarono fuori
dalle stalle due calessi e quattro cavalli. Erano perplessi, non sapevano se
erano i mezzi adatti, non potendo prevedere in quale tempo si sarebbero ritrovate le mogli
di Barbablù uscendo dal borgo. D’altronde non c’era scelta, non c’era l’ombra
di un’auto o di un motorino. Non c’era neppure il tempo per riflettere su dove
e come fuggire… Poi qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di quella prigione, e Barbablù
avrebbe potuto tornare, finito il mal di pancia...
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