Mentre
camminavano verso casa, Frida, che non
riusciva più a trattenere la curiosità, cominciò a chiedere:
-
Mafalda, ma cos’è quella storia del rogo?
Al villaggio la gente diceva che sei scampata al rogo,
e anche i tuoi libri ne parlano.
-
Se a scuola
studiaste un po’ di più sapreste… Noi streghe siamo sempre state perseguitate.
-
Perché mangiate i
bambini.
-
Ma no, questo non
era un problema, bocche da sfamare in meno. Siamo state tanto odiate per via
del nostro sapere, che era considerato un oscuro pericolo: la gente non
conosceva la nostra magia e diffidava. Donne in possesso di una scienza
incomprensibile, donne in grado di cambiare in mondo, che potevano più del re e
del vescovo…. Questo era intollerabile per i potenti, e dovevamo essere
cancellate dalla società, mandate a morte.
-
Ma perché al rogo,
Mafalda?
-
Il fuoco
purificatore distruggeva insieme a noi i nostri libri, e offriva uno spettacolo
esemplare al popolo.
Io ero una ragazzetta come te, Frida. Di nascosto dai
miei, mi recai al villaggio nel giorno di fiera, con lo stesso vostro
entusiasmo di oggi.
-
Quindi, non sei
sempre stata una strega? Non ci sei nata, così?
-
Certo. Te l’ho
detto, a quel tempo ero solo una bambina curiosa. C’era quel giorno una gara di
magia, e io non volevo assolutamente perdermela. Le streghe in gara se ne
stavano una accanto all’altra nelle via principale, coi loro banchetti, coi
loro pendolini e carte e ceri… Io mi sono affiancata alla più vecchia e brutta,
perchè pensavo che una strega dovesse essere proprio così. Era brutta, brutta
proprio come me ora, vestita di nero come me ora, e aveva un amuleto al collo:
una stella a sette punte, in rame. Avevo scelto bene: Berengaria sembrava
apprezzare la mia compagnia e il mio interesse, e cominciò a spiegarmi la
magia.
Parlava fitto fitto, dicendo che c’era pochissimo
tempo. Sentimmo urlare vicino a noi. La vecchia tirò fuori dalle sue tasche tre
libri e mi chiese di nasconderli, così io li infilai nella mia cesta. Poi si
fece pensierosa, e frugò fra i suoi stracci: meglio che prendi anche questi,
non si sa mai. Infilai sotto le mie sottane “Come preparare mele avvelenate”,
“Antidoti”, “Come trasformare un gatto nero in qualcos’altro”. Gli uomini dell’inquisizione arrivarono e la
portarono via sollevandola di peso, non facendo neppur caso a me.
Non sapevo che fare. In un attimo raccolsi gli ultimi
oggetti rimasti, cioè pietra lavica, piume, candelabro e tarocchi, poi seguii i
gendarmi, tenendomi alle debite distanze, per paura prendessero anche me. Andavano
verso la piazza. Procedevo lenta, con quel gran fardello di libri e
chincaglieria che mi portavo dietro. Vidi
poi un fuoco in lontananza, e un gran fumo.
Arrivata sulla
piazza, mi ne stetti in disparte, tenendo ben stretta la cesta preziosa,
sostenendo le sottane, per paura che i libri nascosti lì sotto scivolassero a
terra: temevo la loro perdita tanto quanto la mia cattura. Nessuno mi notò: i
popolani erano tutti interessati al rogo, presi dalla uccisione di Berengaria e
dalla definitiva distruzione delle sue magie; ridevano e applaudivano, non
vedendo l’ora di andare a festeggiare alla locanda. Solo qualche buontempone mi
notò e fece degli appressamenti sulle mie forme abbondanti, non sapendo che
erano dovute a tutta quella magia che nascondevo sotto le gonne.
Intanto i libri si incendiavano velocemente, il rogo
divampava e le fiamme si facevano sempre più alte. Di Berengaria vedevo ormai solo
stracci neri in fiamme svolazzare verso il cielo.
-
Povera
Berengaria!
-
Che brutta fine!
-
Certo, brutta
fine. Io aspettai nel mio angolino, con
le lacrime agli occhi, che le fiamme
fossero spente e la folla dileguata per fare ritorno a casa senza dare
nell’occhio. E non potete immaginare
quale fu il mio stupore quando vidi un gatto nero scivolare fuori dall’ultimo capannello
di persone intente a discutere dell’accaduto.
-
Di che dovremmo
stupirci?
-
Fatemi finire. Il
gatto si fece strada fra le gambe degli ultimi curiosi, dirigendosi verso di
me, e non potrete credere…
-
Racconta,
racconta, non fermarti, Mafalda!
-
Il gatto portava
al collo l’amuleto, la stella a sette punte.
-
No! Lo stesso!
-
Giunse sino a me,
e si accoccolò ai miei piedi.
-
Belzebù? Era
proprio lui?
-
Certo, Belzebù.
In quel preciso istante capii che sarei diventata ciò
che sono.
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