domenica 25 novembre 2012

Il rogo



Mentre camminavano verso casa,  Frida, che non riusciva più a trattenere la curiosità, cominciò a chiedere:
-         Mafalda, ma  cos’è quella storia del rogo?
Al villaggio la gente diceva che sei scampata al rogo, e anche i tuoi libri ne parlano.
-         Se a scuola studiaste un po’ di più sapreste… Noi streghe siamo sempre state perseguitate.
-         Perché mangiate i bambini.
-         Ma no, questo non era un problema, bocche da sfamare in meno. Siamo state tanto odiate per via del nostro sapere, che era considerato un oscuro pericolo: la gente non conosceva la nostra magia e diffidava. Donne in possesso di una scienza incomprensibile, donne in grado di cambiare in mondo, che potevano più del re e del vescovo…. Questo era intollerabile per i potenti, e dovevamo essere cancellate dalla società, mandate a morte.
-         Ma perché al rogo, Mafalda?
-         Il fuoco purificatore distruggeva insieme a noi i nostri libri, e offriva uno spettacolo esemplare al popolo.
Io ero una ragazzetta come te, Frida. Di nascosto dai miei, mi recai al villaggio nel giorno di fiera, con lo stesso vostro entusiasmo di oggi.
-         Quindi, non sei sempre stata una strega? Non ci sei nata, così?
-         Certo. Te l’ho detto, a quel tempo ero solo una bambina curiosa. C’era quel giorno una gara di magia, e io non volevo assolutamente perdermela. Le streghe in gara se ne stavano una accanto all’altra nelle via principale, coi loro banchetti, coi loro pendolini e carte e ceri… Io mi sono affiancata alla più vecchia e brutta, perchè pensavo che una strega dovesse essere proprio così. Era brutta, brutta proprio come me ora, vestita di nero come me ora, e aveva un amuleto al collo: una stella a sette punte, in rame. Avevo scelto bene: Berengaria sembrava apprezzare la mia compagnia e il mio interesse, e cominciò a spiegarmi la magia.
Parlava fitto fitto, dicendo che c’era pochissimo tempo. Sentimmo urlare vicino a noi. La vecchia tirò fuori dalle sue tasche tre libri e mi chiese di nasconderli, così io li infilai nella mia cesta. Poi si fece pensierosa, e frugò fra i suoi stracci: meglio che prendi anche questi, non si sa mai. Infilai sotto le mie sottane “Come preparare mele avvelenate”, “Antidoti”, “Come trasformare un gatto nero in qualcos’altro”.  Gli uomini dell’inquisizione arrivarono e la portarono via sollevandola di peso, non facendo neppur caso a me.

Non sapevo che fare. In un attimo raccolsi gli ultimi oggetti rimasti, cioè pietra lavica, piume, candelabro e tarocchi, poi seguii i gendarmi, tenendomi alle debite distanze, per paura prendessero anche me. Andavano verso la piazza. Procedevo lenta, con quel gran fardello di libri e chincaglieria che mi portavo dietro.   Vidi poi un fuoco in lontananza, e un gran fumo.
Arrivata  sulla piazza, mi ne stetti in disparte, tenendo ben stretta la cesta preziosa, sostenendo le sottane, per paura che i libri nascosti lì sotto scivolassero a terra: temevo la loro perdita tanto quanto la mia cattura. Nessuno mi notò: i popolani erano tutti interessati al rogo, presi dalla uccisione di Berengaria e dalla definitiva distruzione delle sue magie; ridevano e applaudivano, non vedendo l’ora di andare a festeggiare alla locanda. Solo qualche buontempone mi notò e fece degli appressamenti sulle mie forme abbondanti, non sapendo che erano dovute a tutta quella magia che nascondevo sotto le gonne.
Intanto i libri si incendiavano velocemente, il rogo divampava e le fiamme si facevano sempre più alte. Di Berengaria vedevo ormai solo stracci neri in fiamme svolazzare verso il cielo.
-         Povera Berengaria!
-         Che brutta fine!
-         Certo, brutta fine.  Io aspettai nel mio angolino, con le lacrime agli occhi,  che le fiamme fossero spente e la folla dileguata per fare ritorno a casa senza dare nell’occhio.  E non potete immaginare quale fu il mio stupore quando vidi un gatto nero scivolare fuori dall’ultimo capannello di persone intente a discutere dell’accaduto.
-         Di che dovremmo stupirci?
-         Fatemi finire. Il gatto si fece strada fra le gambe degli ultimi curiosi, dirigendosi verso di me, e non potrete credere…
-         Racconta, racconta, non fermarti, Mafalda!
-         Il gatto portava al collo l’amuleto, la stella a sette punte.
-         No! Lo stesso!
-         Giunse sino a me, e si accoccolò ai miei piedi.
-         Belzebù? Era proprio lui?
-         Certo, Belzebù.
In quel preciso istante capii che sarei diventata ciò che sono.

Parlando parlando arrivarono a casa. Belzebù li aspettava davanti alla porticina. Salutò per prima Alice, strisciandosi contro le sue gambe, fra lo stupore di tutti, mentre Ice osservava incuriosito il nuovo arrivato, Rocco, il maialino.

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